Quando nasce l’artista Piermario Laddomata?
Moltissimi anni fa, giovanissimo, a tredici o quattordici anni ho cominciato a dipingere, anche se in realtà in un primo momento la mia strada sembrava il calcio. Ero anche molto bravo, ma dopo aver fatto una visita medica mi dissero che non potevo svolgere l’attività calcistica e dunque concentrai tutte le mie risorse sull’arte e in particolare sulla pittura. I miei primi studi non furono artistici. Ero iscritto alle industriali ma l’arte che sentivo dentro mi prese per mano e fu lei a decidere per me. Mi iscrissi così all’istituto d’arte. Era il periodo dei grandi maestri sassaresi, che artisticamente primeggiavano in Sardegna. All’epoca la scuola aveva preso un indirizzo diverso, era arrivato l’avvento del designer. Io ovviamente scelsi il ramo della pittura e della decorazione, per non sbagliare dopo due lezioni mi trasferirono “d’urgenza” nel laboratorio di architettura e arredamento.
Nella prima parte della tua carriera artistica sfoggi uno stile piuttosto classico. In seguito ti riversi su una pittura che potremmo definire più visionaria. Come mai questo cambio di rotta?
All’inizio ero affascinato da tutto ciò che vedevo e ho iniziato facendo figurativo, però interiormente mi piacevano le muffe, che mi hanno portato a sviluppare dei bassorilievi materici che rappresentavano i cantoni di tufo. A 23 anni feci un opera,“La finestra murata”, con tutte le fasi e le sfumature della corrosione del tufo, dodici bassorilievi con le misure dei cantoni all’interno di una vera finestra. Poi ho continuato sempre ispirato dalle muffe dei muri con studi sulla pittura bidimensionale.
Come nasce l’idea di un tuo dipinto?
Sono cose che ti senti dentro. Ti avvolge un’ esigenza di creare. Come una necessità, ti senti qualcosa che vuole uscire fuori. Io lo sento per la pittura, poi ovviamente ogni artista nel suo campo crea e mette in pratica quello che sente. In quasi tutte le cose che ho realizzato sono partito da un detto: “tela bianca, testa bianca”. Mi spiego meglio. Ti metti davanti a una tela o qualsivoglia supporto e lasci andare quello che senti dentro senza pensare a niente, ma solo con l’istinto e con ciò che hai immaginato e che ti viene al momento. Nell’arte non ci sono preclusioni, crei quello che il tuo istinto ti detta. Questo è almeno quello che faccio e che ho sempre fatto io nella cosa che prediligo, la pittura.
Cosa, in un tuo dipinto, mette meglio a fuoco la tua personalità?
E’ tutta una questione di interiorità. In ogni dipinto c’è sempre qualcosa di te, sia a livello caratteriale che a livello inconscio, che come ben sai, è qualcosa che non conosci che ti affascina. A mio avviso in ogni quadro è presente molta interiorità, il carattere personale, me stesso, e tutto questo ovviamente si riflette nei mie lavori.
Quali messaggi dunque possiamo cogliere in un tuo dipinto?
Tutto sta allo spettatore. Quando fai delle cose che non sono prettamente figurative, ma, ad esempio, quando dipingi un astratto o un quadro visionario, cerchi di dare sempre un messaggio in divenire. Il figurativo solitamente lo scompongo, facendo in modo che chi osserva provi diverse sensazioni ed emozioni, che si sviluppano ulteriormente nelle opere informali e nei bassorilievi materici.
Una delle tue mostre più coinvolgenti è stata probabilmente quella alla Galleria d’Arte Picasso presentata dal noto critico d’arte signor Doddo Deruda. Come è nata questa passione per le “muffe”?
Giovanissimo, all’età di ventidue anni, organizzai quella mostra personale presso la Galleria Picasso. Mi proposi con lavori ispirati alle “muffe” e con una tecnica particolare. Precedentemente dipingevo figurazioni molto rarefatte su fondo ruvido, poi il passaggio alle muffe è stato semplice perché mi ha sempre interessato il loro movimento naturale. Avevo utilizzato dei materiali molto particolari: della segatura da me colorata, al posto di utilizzare il classico tubetto di colore e pennelli. Ovviamente da questo punto di partenza ho creato dei lavori, delle composizioni diciamo, che mi permettessero di creare il movimento naturale delle muffe, che come ben sapete, partono dal basso per poi creare quel movimento tipico e particolare che tanto mi ha affascinato e mi affascina tutt’oggi.
Per ciò che invece riguarda l’utilizzo dei colori, che stati d’animo esprimono?
Il colore è uno stato d’animo. Quando ti lasci andare e dipingi col cuore, lasciando in secondo piano la tecnica, ti accorgi che il dipinto acquista un’altro valore; un valore oserei dire personale che ti calza e che rimane unico.
In molti tuoi dipinti si può notare una ricerca del “vedere e non vedere”. I volti o le figure appaiono come sospese, quasi evanescenti, Come spieghi questa scelta?
E’ sempre quel senso visionario a cui accennavo: il vedere e non vedere, le muffe, l’astrattismo, tutto cresce da questi presupposti. Certi dipinti figurativi partono molto canonici, poi io ci metto del mio scomponendoli, proprio per lasciare un discorso aperto riconducibile a una tecnica personale. E qui torniamo al discorso di dipingere più col cuore che con la testa, cercando di mettere su tela quello che sento dentro e che non è facile spiegare a parole.
C’è qualche grande artista del passato che ti ha spinto a dipingere e che ti ha fatto innamorare della pittura?
Quando ero molto giovane mio fratello aveva una corniceria- Lì conobbi i vari Elio Pulli, Costantino Spada, Libero Meledina, Antonio Miazza… Questi nomi mi hanno fatto avvicinare all’arte con i loro lavori.
Ci sono molte differenze tra la pittura di ieri e quella di oggi?
Mi sembra che oggi la pittura sia molto più evoluta. Con questo non voglio dire che sia migliore o peggiore, solo che tecnicamente siamo cresciuti molto. Ovviamente, penso anche che ognuno di noi deve essere riconoscibile nei suoi dipinti. L’arte può essere anche un graffio, una macchia, un colore. La tecnica è importante ma, a costo di essere ripetitivo, penso che quello che conta sono i sentimenti, il cuore, ciò che ti detta il tuo istinto. Ad esempio nella mia ultima mostra al Liceo Artistico ho esposto circa cinquanta pezzi di cui solo alcuni figurativi. Le opere pittoriche e i bassorilievi erano solo ed esclusivamente sensazioni. Per questo motivo ho deciso di chiamare la mostra “Sintesi”.
Il tuo lavoro artistico è estremamente originale. Non hai mai avuto timore di distinguerti e di perseguire una strada troppo diversa da una pittura più tecnica e lineare?
Penso si tratti di una questione di esperienza che matura con lo scorrere degli anni. Mi piace spesso cambiare reinventarmi. Penso che si sia capito che sono un pittore molto istintivo. Dipingo sempre a sensazione, perché dipingere mi piace e cerco sempre di essere me stesso. Senza muovere critica alcuna verso gli altri colleghi, sono convinto che quando uno persegue sempre la stessa strada pittorica, rimane vincolato a quel tipo di pittura e alla lunga può risultare ripetitivo. Ovviamente questo è solo la mia personale ed opinabile visione delle cose. Ad esempio all’Accademia ti insegnano dei canoni di pittura. E’ giusto conoscerli ma molti rimangono ingabbiati in quei canoni diventando delle copie di copie, perdendo di originalità. Bisogna certo acquisire la tecnica e la maestria, ma è importante in seguito riuscire metterla in pratica a modo proprio, personale, facendo uscire l’artista che si ha dentro. Dico anche che è meglio una “cazzata” tua che un bel quadro copiato (sorride, ndr).
C’è un aneddoto particolare in riferimento alla tua carriera che possiamo raccontare?
Non ancora diplomato, avevo preso in affitto assieme ad un amico una galleria d’arte per esporre i nostri dipinti. Ero molto giovane e quando le persone entravano per vedere le opere e osservavano i miei quadri, non dicevo mai che li avevo dipinti io. Raccontavo di essere il gallerista e presentavo loro le opere. Ricordo di aver venduto molti miei lavori ma senza mai ammettere alle persone che in realtà il ragazzo che avevano di fronte era l’artista che loro cercavano. Avevo creato l’immagine del “pittore Laddomata” descrivendolo come un uomo di mezza età brizzolato e con barbetta. Finché un giorno entrò in galleria una signora cosìentusiasta dei miei dipinti che mi venne voglia di rivelare che in realtà ero proprio io l’esecutore di quei lavori. Fu l’unica volta che lo ammisi. La signora, dopo aver capito che ero io l’artista e vedendomi così giovane, si complimentò ma scappo via, e io non otteni il risultato sperato…
In conclusione come ti descriveresti? Chi è l’artista Piermario Laddomata?
Piermario Laddomata è uno a cui piace esprimersi dipingendo. Gli piace sopratutto che quando le persone guardano un suo dipinto lo sappiano distinguere. Un po’ come tu ti riconosci nel tuo nome e non in un altro e le persone sanno che ti chiami così e non con un altro nome. Ricordiamoci che è il quadro che rappresenta l’artista e non una semplice firma che può essere sempre contraffatta. Devi essere riconoscibile da chi ti segue.
di Benito Olmeo (fotografie di Donato Manca)
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Il mio amico Piermario.. che mi ha stimolato e illuminato sull’arte.