di Alessandra Ghibellini
Vogliamo raccontarvi un pezzo di storia della Sassari degli anni Venti e Trenta del secolo scorso, da un dopoguerra tragico e affannoso fino all’avvento del fascismo e alla vigilia di una nuova guerra.
In quegli anni La Nuova Sardegna dava gli ultimi segni della sua esistenza per essere rimpiazzata nel 1926 da L’Isola, giornale dichiaratamente fascista, tuttavia erano diffusi un gran numero di giornali periodici, numeri unici e quotidiani locali.
Protagonista della nostra storia è un uomo, un modesto operaio sassarese che diede i natali proprio a uno di questi tanti giornali: La Gaita , un periodico ben vivo e temuto all’epoca, fatto apposta per ospitare gli sfoghi dei sassaresi.
Antonino Saba: un sassarese da non dimenticare
Antonino Saba o come è noto ai lettori de “La Gaita” con i suoi pseudonimi Zirottu, Antoni Vèsthuru Zirottu, Aesse, nasce a Ozieri nel 1886 e quasi quattordicenne rimane orfano dei genitori, parte per Roma e impara il mestiere di tipografo.
Nel 1907 ritorna in Sardegna dove diventa tipografo per La Nuova Sardegna. Dopo aver combattuto nella Brigata Sassari nella guerra in Libia e poi sul Piave viene insignito della croce al Merito di guerra, di Encomio Solenne e autorizzato a fregiarsi della Medaglia commemorativa della campagna Italo-Turca.
Nei Primi anni Venti Antonino comincia a dedicarsi con sempre maggiore dedizione ed entusiasmo all’attività giornalistica ma soprattutto alla pubblicazione di versi in dialetto sassarese.
Il 28 gennaio 1923 il giornale sassarese L’Ingranaggio pubblicava in sesta pagina nella rubrica Ciarameddi una strana lettera, firmata da un certo Austino, un personaggio assai maldestro nell’uso della lingua italiana perchè legato a doppio nodo al suo dialetto sassarese.
La lettera era indirizzata alla sua cara Rimedia, un altro personaggio colorito e altrettanto inesperto nell’uso della lingua italiana. Dietro lo pseudonimo Austino questa prima lettera (la prima di una lunga e fortunata serie) ne rivelava un altro: A. V. Zirottu.
Antonino Saba si destreggiò assai bene sia nei componimenti in prosa che in quelli in versi; sia nell’uso del dialetto che, magari con meno creatività e originalità, nell’uso dell’italiano; sia nelle lettere al giornale che nelle divagazioni, nei racconti, nei romanzi, etc…
Egli infatti era un tuttofare; un giornalista, un poeta, un prosatore, un padre di famiglia che affidava al giornale i suoi problemi, un severo castigatore di male usanze e cattivi costumi. Era, infine, un regista di quel piccolo, grande giornale di cui egli era uno degli ideatori e fondatori e che oggi, ogni giorno di più, diviene documento prezioso di una Sassari pressoché scomparsa.
Non ultima tra le sue prerogative era la capacità di “tradurre” in un italiano simpaticamente rozzo e scorretto il suo istintivo dialetto. Austino era estremamente semplice ed anche ignorante, ma soltanto nello scrivere.
Non era altrettanto semplice nei contenuti delle sue lettere, che spesso commentavano con pungente ironia, con rabbia, con soddisfazione o delusione i piccoli fatti quotidiani locali, ma anche i grandi avvenimenti del tempo: lo sfratto che egli ricevette dal suo “antico padrone”; la marcia su Roma; le novità inconsuete e mal digerite dal popolo che il vento fascista portava a Sassari come nel Continente; le peripezie dei suoi numerosi parenti; le alterne vicende de La Gàita, che di tanto in tanto era costretta a saltare qualche numero.
Il tutto, raccontato per filo e per segno alla sua corissima o istimatta Rimedia, una donna altrettanto simpatica, forse un pochino meno scorretta di lui nello scrivere, ma non meno spontanea e incisiva.
Una che spesso cominciava le sue lettere con vainoramara, o qualcosa di simile non poteva e non può non riuscirci simpatica. Rimedia tardò alquanto a rispondere al suo caro Austino, ma infine, forse per la spinta dei lettori del giornale e degli amici di Austino, cioè di Antonino Saba, si decise.
E così le lettere di Austino e le risposte di Rimedia divennero un appuntamento con i lettori che, immaginiamo, aspettavano da un numero all’altro di poter leggere le vicende dei due personaggi per farsi due risate e per sentire un po’ il sapore di quella piccola “giustizia” quotidiana che in quei tempi, ancor più di oggi, si cercava ma senza sapere dove.
Ci si trovava di fronte agli avvenimenti che la nuova era, di progresso e di regresso, portava ogni giorno sempre più dirompenti e inquietanti, al punto che non si aveva più il coraggio di esprimere in pubblico la propria opinione.
Nel settembre dello stesso anno Antonino Saba insieme all’amico Antonio Mura fonda “La Gaita” settimanale “umoristico, mondano, indipendente”.
La redazione del giornale ha inizialmente sede in via Cesare Battisti n°3 al primo piano e la stampa è affidata ai “Nuovissimi Tipi della Stamperia L.I.S.” (libreria di stampa straniera ).
Successivamente nel 1925 Antonino assume il ruolo di responsabile e l’ufficio di redazione si sposta in via Turritana. Il suo giornale “La Gaita riflette il carattere di Antonino: “umoristico, mondano, indipendente”.
Moltissimi furono i personaggi dell’epoca “gaitati”, cioè presi di mira dalla satira del giornale a volte in modo anche feroce . A La Gaita Antonino affidava indirettamente le sue disapprovazioni e proteste contro modi di fare delle istituzioni che riteneva poco adeguati.
La Gaita è la schietta voce del popolo, non l’unica, ma forse quella che riesce ad esprimerne meglio i sentimenti: il malcontento per il rincaro dei prezzi; la serenità delle feste; la tristezza del 2 Novembre; la rabbia per certi abusi e prepotenze che divenivano sempre più normali.
Ci passavano tutti: dai piccoli personaggi di quartiere, come Fiammifero, La Regina delle Concie, La Reginetta di San Donato, e personaggi della borghesia, pubblici funzionari, militari, le studentesse delle magistrali e il loro corpo insegnante, il Governo nazionale e lo stesso Mussolini.
Aveva fatto soltanto “la quinta”, ma non lo nascondeva; anzi, se ne vantava, perché chi lo conosceva sapeva della sua cultura. Non di rado, infatti, anche amici laureati si rivolgevano a lui per farsi correggere i testi. Antonino Saba era uno dei pilastri di questo piccolo, grande giornale.
“Non sono fascista o comunista. Sono pagnottista – scriveva – perché mi piace dire pane al pane e vino al vino!”
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