Elisa-Carta

Una raccolta di buone canzoni può dare lenimento e fungere da lama di luce che illumina e dà conforto (quello particolarissimo che solo
le arti, nei momenti difficili, sono in grado di dare) dopo il buio funesto degli incendi estivi che anche quest’anno hanno devastato la Sardegna?

Ascoltare i brani di “S’ INCONTRU” mi ha consolato: sapere che la musica made in Sardinia “non brucia” e che anzi è, almeno in apparenza, ancora viva e vegeta, che nella nostra isola operano artisti di talento come Elisa Carta che tengono alta la bandiera della Sardegna profondendo i loro sforzi anche al fine di renderne globale la forza della lingua mi rasserena. “S’INCONTRU” è l’album d’esordio di Elisa, un album maturo che testimonia del percorso artistico che la cantante, che ha radici a Bultei, Goceano, in provincia di Sassari, ha intrapreso nel corso degli anni dentro i meandri del jazz, della tradizione musicale di certi paesi latino americani e della musica d’autore italiana di maggiore spessore.

Elisa-Carta

Uscito nel mese di Aprile u.s. per MRM Records, il CD raccoglie dieci brani per un totale di ascolto musicale complessivo di oltre quaranta minuti. Ascolto gradevolissimo e sorprendente, peraltro, che si nutre di suggestioni musicali diverse tra loro in un amalgama sonoro di grande impatto emozionale (si va dalle influenze musicali jazz a quelle latino americane, da quelle più squisitamente riconducibili alle musiche di tradizione mediterranea a quelle cantautorali); ne di meno ci si poteva del resto aspettare da un ensemble di musicisti, quello che accompagna Carta in quest’avventura sonora, di diversa estrazione stilistica e di prorompente personalità.

A coadiuvare la cantante in questa sua prima fatica discografica sono Ernesto Nobili, compositore e chitarrista napoletano, il bluesman Francesco Piu e il cantautore milanese Pacifico, mentre per i testi Elisa Carta ha potuto contare sullo scrittore Michele Pio Ledda. Il tessuto sonoro è dominato dalla voce espressiva e morbidamente calda della cantante, mentre va rimarcato assai in positivo il lavoro di tutti i musicisti e particolarmente quello alle chitarre di Francesco Piu, strumentista capace di creare con pochi mezzi un universo sonoro all’interno del quale primeggiano le influenze blues, desert e rock.

Elisa-Carta-S'incontru

Tra i brani, in quello che dà il titolo all’intero lavoro avvertiamo gli effetti sulla voce di Elisa della lezione delle grandi jazz singers d’oltreoceano. Esso si distingue per le suadenti e raffinate atmosfere jazzate; “Chin donzi paraula”, trasposizione di una canzone della statunitense Lhasa De Sela (poeticissimo il testo di cui Michele Pio Ledda cura la traduzione in sardo), è brano denso di suggestioni latino
americane; “Melagranada Ruja” è di chiara impronta blues e scatena l’immaginazione dell’ascoltatore portandolo idealmente dentro fitte
vegetazioni, quelle del delta del Mississippi. Anche in questo caso, bellissimo il testo denso di simbolismi; “Maja” è brano minimale sul piano della poca strumentazione utilizzata.

Le atmosfere liquide sono il frutto di un sapiente lavoro delle tastiere; “Mesu caminu” è ancora blues: ancora splendido il testo di un brano cui la chitarra di Piu conferisce rarefatte atmosfere desert rock; “Fue” è una canzone di chiara impronta latina le cui digressioni quasi piazzolliane sono magistralmente messe in rilievo dalla fisarmonica.

Credibilissima, nel suo complesso, appare l’operazione linguistica perseguita da Elisa Carta in “S’incontru”: essa, una volta di più, testimonia dell’estrema duttilità, espressività e musicalità della nostra lingua in tutti i contesti stilistico musicali. A Elisa abbiamo rivolto qualche domanda sul disco e sulla sua musica. Lei ci ha risposto così…

Elisa Carta, l’intervista

In una delle canzoni del CD canti: “Fue sa terra, sutt’a mie si fue/intro a chelu so che nue/como nudda pius no ruet//Fue sa terra, intro a mie si fue/como chi so andende e inue?/custu l’ischis solu tue//. Elisa, puoi dirci chi sei? Quali sono, artisticamente parlando, la tua provenienza, i tuoi obiettivi e le tue inclinazioni?

Sono figlia di madre Bulteina e dentro me convivono i caratteri dell’entroterra (che è come una cassa panca sarda nera che contiene mistero, la montagna con il bestiame, contraddizioni, forza e poesia, un codice). Sono anche un po’ campidanese (mio padre è di Monastir) che è invece pianura, apertura, coltivazioni di carciofi, cardi e piedi scalzi. Nella casa campidanese di mia nonna, sopra il letto dei miei genitori erano appesi un Gesù dipinto da mamma (stava sopra di lei). Dalla parte di babbo c’era un poster molto grande di Bruce Lee. Io mi addormentavo sempre un po’ confusa! Avevo già capito di essere figlia di anime opposte, di essere nata dalla diversità. Quando andavamo al mare nelle coste del sud dell’isola, nell’Alfa 75 di babbo si ascoltavano le canzoni di Modugno, Tenco, Gino Paoli. Io arrivo da li, da quei testi romantici e da quelle melodie semplici; forse è per questo che sono sempre rimasta attratta dalle belle canzoni che, al di la del genere musicale e delle voci pulite, sono sincere e a volte permeate di spiritualità. Avevo circa sedici anni quando a Monastir comprai in edicola un disco con in copertina una bellissima donna nera: era un disco della grandissima Sarah Vaughan. Da quel momento iniziai ad ascoltare dischi di cantanti jazz. Sarah Vaughan mi aprì un mondo dove sentivo di essere a casa. La voce usata in quel modo mi era familiare. Provengo fortemente dal mondo sonoro del canto jazz.

Come sono nate le canzoni del disco? In che modo gli sforzi compositivi comuni (quasi tutti i brani nascono dall’impegno creativo di più autori) hanno portato alla sintesi che possiamo ascoltare nelle singole canzoni?

S’Incontru è stato come un cerino che si accende e inizia a illuminare quel piccolo spazio che gli sta intorno. Le canzoni sono nate da pochissime immagini forti accese in me: come quella dei fucili di Bultei che sparano al cielo affiancati nella loro forza a due labbra che si incontrano per la prima volta. Avevo delle bozze strumentali che mi regalò a Napoli un grande musicista, Ernesto Nobili. Ernesto mi disse: te le regalo, vedi se riesci a scriverci dei testi. A Michele Pio Ledda, scrittore di Benetutti, mi lega una forte amicizia: ci siamo visti tanto, per lavorare ai testi. Il mio desiderio di scrivere in sardo non sarebbe stato realizzabile se non avessi avuto l’aiuto di uno come lui che non soltanto parla ma pensa in sardo, beato lui. Così sono nate le altre canzoni: tutto partiva sempre da un immagine che inaspettatamente mi si presentava davanti. Con il gruppo queste immagini abbiamo cercato di manifestarle e di farle parlare. Le canzoni sono sospese nell’aria, se si è connessi si riesce ogni tanto ad acciuffarne qualcuna.

Nel disco sei affiancata da un gruppo di ottimi musicisti. Come è stato collaborare con artisti di rilevanza nazionale quali Pacifico, Ernesto Nobili, Francesco Piu e Michele Pio Ledda?

Con Pacifico ci conosciamo da tanti anni e c’è sempre stata una grande stima reciproca, a lui piace la mia voce e come canto e a me di lui piace tutto. Un giorno mi chiese se avevo qualche testo in sardo, lui avrebbe provato a renderlo canzone: glielo mandai e dopo dieci minuti mi arrivò il testo musicato in un vocale di wapp. Lui che, pur essendo milanese, cantava tranquillamente in sardo! Quello stregone era riuscito in dieci minuti ad acciuffare la canzone, cosi è nata “Maja”. Francesco Piu, oltre a essere un chitarrista e cantante esplosivo, è anche il mio compagno di vita, perciò collaborare con un uomo che ti conosce molto da vicino è stato poetico, come i migliori sarti mi ha cucito addosso due brani bellissimi che sono “Mesu Caminu” e “Su chi mancat” e si è occupato di quasi tutti gli arrangiamenti. Michele Pio Ledda è un uomo meraviglioso, barba bianca e occhi da scrittore sempre persi dentro un vuoto, bevevamo vino o birra e iniziavamo a buttare giù frasi. Ernesto Nobili è un compositore dal gusto sopraffino e poi è napoletano. Quando ci siamo incontrati io ero in ansia e lui mi disse: tu hai al collo il cornetto napoletano e io ho il bottone sardo, lo vedi? non ci dobbiamo preoccupare di niente. C’è anche Francesco Ogana, musicista prezioso e fedele amico di Sennori che si è occupato con la sua pazienza nuragica di tutta la produzione e registrazione del disco.

La tua musica appare come la risultante di tendenze stilistiche (diverse tra loro) che travalicano i confini dell’isola e anche quelli nazionali. Puoi parlarci delle tue predilezioni e dei tuoi gusti musicali? Quali sono i musicisti/e e i/le cantanti (anche sardi/e) che maggiormente hanno influito e/o influiscono sulla tua attuale identità artistica? Cosa ti piace ascoltare? C’è per esempio, tra i tuoi colleghi/e sardi/e, qualcuno/a che ascolti più volentieri?

Non ascolto molta musica, forse perché devo ancora digerire tutta quella che ho ascoltato quando ero più giovane. A Parigi, dove ho vissuto cinque anni, ho fatto indigestione di jazz. Ora ascolto poche cose, sono molto affascinata dalle sonorità della cantautrice brasiliana Cèu. Ascolto anche Gretchen Parlato, un’americana che ha creato sonorità vocali nasali particolarissime, Cassandra Wilson, che non mi stancherà mai, e anche Lhasa De Sela, sempre nelle casse della mia macchina e nei miei pensieri. I musicisti li ascolto di meno, fanno troppe note. In Sardegna adoro la voce di Gavino Murgia, ascolto il canto a tenore e poi Rossella Faa, Federico Pazzona, Claudia Crabuzza, Gavino Riva; da poco ho scoperto un cantautore che mi è entrato dentro, Andrea Andrillo.

Come trovi l’attuale scena musicale sarda?

Di musicisti e cantanti bravissimi è piena la Sardegna, ma di figure carismatiche che lavorano al proprio suono e su qualcosa da dire un po’ meno. La trovo confusa.

Una canzone, un disco e un artista tra quelli che in qualche modo hanno cambiato la tua vita e che quindi sono stati determinanti nel senso di farti intraprendere una carriera musicale (non solo) da insegnante di musica…

Sarah Jane Morris, l’album “Blue Valentine”, “Com’è profondo il mare”, la canzone, Lhasa De Sela, l’artista.

Progetti per l’immediato futuro: puoi darci qualche anticipazione?

Sto cercando di far conoscere il disco fuori dall’Italia. Vorrei cantare il nostro Mediterraneo con questa poetica lingua sarda per i norvegesi, per i danesi, per tutti quelli che vivono dove tutto è diverso da qui. Vorrei far sentire il profumo dell’elicriso a chi vive nella neve, insomma. Sto continuando a fare un lavoro di pulizia interiore, eliminare le sovrastrutture. Siamo come dei grossi sacchi di juta, accumuliamo cose. Sotto il sacco, in fondo, dove stanno le cose messe prima, è li che voglio andare a cercare, perché è li che forse qualcosa ha fermentato e si è trasformata. Sarà li che troverò il materiale per il prossimo disco.

di Giovanni Graziano Manca

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