di Francesca Arca
Dare una definizione univoca di se stessi è difficile quanto pericoloso. Il passaggio sottile tra “fare qualcosa” ed “essere qualcosa” può diventare limitante perché costringe inevitabilmente a rinchiudersi in un’unica forma, tralasciando tutto il resto delle possibilità, comprese quelle che non erano state prese in considerazione. In campo artistico la chiusura equivale alla mancata creatività e Francesco Mariani, nel suo sfuggire ad ogni tentativo di definizione, è artista nel senso più completo del termine.
“I do things” (“faccio cose”) contiene del tutto il pensiero che da anni lo spinge a misurarsi con gli stili più diversi. «Non voglio sembrare qualunquista ma credo che tutto sia racchiuso in questa frase del mio biglietto da visita. Faccio delle cose perché mi piace farle. Ho sempre disegnato e poi ho fatto grafica. Da circa dieci anni questo è diventato la mia fonte di sostentamento. Negli ultimi cinque anni ho abbandonato tutto il resto per dedicarmici in modo completo – racconta Mariani – ho finito i miei studi universitari diventando agronomo. Mi sono laureato tardissimo proprio perché non mi interessava particolarmente il mio corso di studi e infatti nel mentre mi dedicavo ad altre cose. Ora faccio ciò che prima occupava solo il mio tempo libero. Paradossalmente quando avevo meno tempo, riuscivo a fare molto di più. Adesso invece, che mi dedico solo a questo, ho la sensazione che il tempo non sia mai sufficiente.»
Questa totale libertà creativa ha fatto in modo che Francesco Mariani sviluppasse diversi tipi di espressione artistica, tutti caratterizzati dalla totale mancanza di staticità, ad iniziare dalla grafica. «E’ un campo nel quale si deve costantemente continuare a studiare e aggiornarsi. Negli ultimi anni mi sono anche avvicinato di più alla pittura. Ho iniziato a dipingere con l’acrilico mollando gli acquerelli che invece prima mi affascinavano. Ho provato ad usarli, mi ci sono dedicato, ma ho compreso che non fanno per me. Sono sempre alla ricerca di nuove cose. Ad esempio adesso ho anche il tarlo della falegnameria e ho in animo di fare delle cose con il legno. Di recente ho creato una stampa abbastanza lineare e l’ho subito immaginata realizzata in legno a strati di colore, quasi ad incasso l’uno sull’altro.»
Un lavoro di istinto e impulso quello di Mariani, che cerca di imbrigliare l’attimo nel minor tempo possibile affinché nulla risulti mai stagnante. «Non riesco a tener troppo le tele. Quando inizio un lavoro mi immergo completamente per terminarlo quanto prima. Magari ci passo l’intera giornata ma deve avere una conclusione, non dico immediata, ma in tempi brevi.»
E forse è proprio per assecondare questo modo totalizzante di vivere la nascita dell’opera, immergendosi del tutto nel processo creativo, che Francesco Mariani ci racconta dell’importanza di conoscere realmente il soggetto che viene ritratto. «Trovo importante fare esperienza diretta delle cose per poterle esprimere. Se devo disegnare qualcosa, devo conoscerla. Mi sono ritrovato molto in una frase di Andrea Pazienza quando dice che se non si segue questa logica si potrà anche disegnare benissimo un qualsiasi soggetto ma mancherà sempre quel qualcosa in più e io non riesco a mentire a me stesso. Se non hai vissuto una cosa pienamente non puoi metterci emozioni e qualsiasi lavoro, seppur corretto da un punto di vista tecnico, avrà una valenza soltanto a livello didattico.» In questa ottica di scambio e compenetrazione continua tra soggetti, l’interazione con gli altri diventa per Mariani un elemento fondamentale.
«Una delle cose che ripeto spesso è che se fossi davvero molto ricco e non avessi bisogno di dovermi mantenere regalerei tutto ciò che faccio solo per vedere la reazione dell’altro – continua nel suo racconto – Nella mia stanza di universitario avevo le pareti tappezzate di miei lavori. Era quindi inevitabile che chiunque venisse a trovarmi li vedesse. Mi capitava spesso che davanti ad un apprezzamento per qualche disegno in particolare io mi ritrovassi a staccare il foglio dalla parete e a regalarlo con molta naturalezza. Ci sono cose dalle quali ovviamente non mi separerò mai ma in genere ho sempre avuto l’istinto di dare. Questo mi capita in special modo quando vedo che la persona con cui ho a che fare ha una sua interpretazione personale di un mio specifico lavoro e ci ritrova dentro cose che io non avevo notato. Mi capitò una cosa di questo tipo nel corso di una mia mostra – “Big Eyes” alla Libreria Dessì – durante la quale regalai un mio acquerello a Max Mazzoli, artista che stimo moltissimo, solo perché mi disse che gli ricordava una persona. In quel momento non sapevo nemmeno che fosse lui perché ancora non ci conoscevamo. Anche adesso periodicamente lascio per la città dei “bonus”. Magari prendo un disegno, una stampa, un adesivo… tutte cose che assemblo secondo l’istinto del momento e poi le nascondo in strada e scrivo sui social l’indicazione della zona in cui il bonus può essere cercato. Rimango quasi sempre nei pressi per un po’. E’ bello vedere le persone che arrivano a cercare perché ti fa rendere conto del movimento costante dell’arte. Non è qualcosa che tu possiedi, stai solo partecipando.»
L’utilizzo del social network diventa quindi per Mariani non solo una vetrina in cui mostrare il proprio lavoro ma anche una piattaforma attraverso la quale trovare ancora più interazione. Non di rado infatti è proprio attraverso i social che propone ai propri followers di partecipare come soggetti dei suoi “sketchbook”. «Quando qualcuno accetta cerco di conoscerlo meglio. Guardo i suoi profili social, le sue foto e mi immagino una storia che cerco di raccontare. Creo una sorta di micromondo attraverso l’idea che mi sono fatto di quella persona e lo riporto sulle mie Moleskine. Per me è molto divertente. E’ come entrare nella vita di un perfetto sconosciuto. C’è uno scambio davvero bello.»
Meticoloso, attento al dettaglio, difficilmente catalogabile, Francesco Mariani è uomo dal pensiero vivo, libero, curioso e determinato. Sono proprio queste le caratteristiche che ne tratteggiano il marcato individualismo artistico. «Di rado riesco a collaborare con altre persone. Quando faccio una cosa voglio che sia esattamente come l’ho pensata. Purtroppo sono fatto così, è più forte di me. Ci sono alcune sfumature che voglio mostrare assolutamente, poi posso anche lasciare all’altro delle piccole finestre aperte all’interno delle quali può viaggiare e ritrovare qualcosa di bello. Ma ci sono sempre delle cose che devo imprimere per forza, dei lati di me che mi caratterizzano e che voglio che si vedano. Devo mostrare come sono arrivato a ciò che stai guardando, in un percorso che è sempre più importante del finale. Devi sentire che ti sto tirando, che ti sto portando da qualche parte. Dove si arriva non è fondamentale. L’inattività mi devasta. L’arte deve essere viva.»
In questa coerente libertà di lasciarsi andare all’arte vissuta come movimento infaticabile, Francesco Mariani è alla ricerca di un punto di equilibrio nella compenetrazione che esiste tra il suo lavoro e coloro che lo guardano e lo vivono. «Ci sono cose artisticamente stupende da vedere. Io parto sempre dal presupposto di essere l’ultimo degli sciocchi che siede al primo banco per poter ascoltare meglio chi ne sa di più e imparare. Per questo motivo quando mi trovo davanti ad una cosa bellissima non posso fare altro che tacere. Parlo solo di ciò che so. Non mi interessa dirti “sono il più bravo, disegno bene”, né mi importa più di tanto che mi venga detto. Mi fanno ovviamente piacere i complimenti ma non è questo quello che sto cercando. Voglio che le persone capiscano il senso di ciò che faccio. Ci provo in ogni modo. Quando lascio un bonus metto sempre al suo interno un foglio con alcune frasi che credo importanti come: “rispetta l’arte altrui”. Voglio che chiunque interagisca con un mio lavoro lo senta proprio. Se così non accade è giusto che lo lasci dov’è. Se non è per te, se guardandolo vedi una cosa inerte, non lo fermare. Diventerà movimento per qualcun altro. Questo è il motivo vero per cui io faccio le cose. Mi interessa coinvolgere le persone perché fa piacere che gli altri provino a prendere qualcosa di tuo. E’ questa l’essenza.»
Se l’arte è spesso qualcosa che trova definizione attraverso la delimitazione di una cornice, in Francesco Mariani la cornice si fonde col quadro stesso e sfuma il proprio confine fondendosi con le vite altrui.
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