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di Paolo Sandri

Su biancu est fide pro non zedere a s’inimigu,
a sos affanos;
su ruju est s’amore pro sos mannos,
pro sa Patria.
(Il bianco è la fede per non cedere di fronte al nemico ed alle avversità ; il rosso è
l’amore per gli antenati, per la Patria)

La Brigata Sassari, i Diavoli rossi, il loro stemma, la loro anima ! Parole scritte col sangue che più di ogni altra cosa descrivono al meglio con quale spirito hanno affrontato il loro compito, con quanta determinazione e con quali ideali hanno portato a termine la loro missione.

Furono chiamati diavoli dai loro stessi nemici per la loro estrema audacia di fronte al pericolo e rossi perché quel colore della terra del Carso aveva tinto le loro divise !

Una commemorazione quella del centenario che non è soltanto un gesto doveroso ed un atto di giustizia verso la Storia e la memoria patria ma che vuole essere un omaggio forte di gratitudine alla terra di Sardegna, ai suoi Eroi, alle sue donne che hanno dato la vita ai valorosi che l’hanno a loro volta donata, quella stessa vita, all’alto scopo, all’ideale che tutti conosciamo.

Questo concetto è ben raffigurato nei murales di Dualchi, che ricordano i Caduti sardi della grande guerra e dove i sentimenti stessi sembrano prendere vita e testimoniare .

Non vi è famiglia nell’Isola che non abbia avuto un proprio caro con le mostrine bianco-rosse e pianto un Caduto.

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In molti hanno condiviso la brutale esperienza della guerra, chi “ per bisogno”, chi “ perché costretto” o chi “per ideale”: ad ognuno è rimasta l’esperienza di aver lasciato i propri cari per vivere un’esperienza terribile ed unica.

L’angoscia di chi aspettava un ritorno sperato, i sottili ma forti fili di speranza intrisi di ricordi e di attese: erano questi gli echi del tempo scanditi in ore interminabili che vecchie foto ingiallite ci riportano in vita.

Ognuno di quei valorosi andava a difendere qualcosa che, nella maggior parte dei casi, era l’amore per la propria terra, quella Patria che dava un volto alle persone care e amate, ai figli, agli amici, alle poche cose spesso possedute.

Oggi, molte di queste memorie non sono più viventi in mezzo a noi, essendone i portatori, nonni, bisnonni, prozii ormai tutti viaggiatori di ben altre destinazioni.

Per molte nuove generazioni, nonostante i testi scolastici ne facciano memoria, in questa cultura della globalizzazione, alcune visioni potranno sembrare anacronistiche, memorie sbiadite nel tempo, seppur così vere.

Ma queste visioni ci appartengono ormai come archetipi, fanno parte della nostra esistenza nonostante tutto perché quello che siamo, nel bene e nel male, è frutto anche delle esperienze dei nostri padri, dei nostri avi.

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Immagini di fieri guerrieri, orgogliosi uomini in uniforme in realtà nascondono esperienze che molti di noi non possono neppure immaginare.

I nostri occhi difficilmente vedranno cose che quegli occhi hanno visto: le nostre narici non faranno esperienza dell’odore della trincea né le nostre orecchie udranno i laceranti suoni di granate e mortai.

I nostri piedi, coperti con comode scarpe in pelle, ben difficilmente saranno avvolti di stracci e costretti a marciare nel ghiaccio e nel fango con ferite che non avranno il tempo per rimarginarsi.

L’esperienza della vita impone anche di mantenere vivo il ricordo di quanti non hanno potuto abbracciare i loro cari e di quanti invece ci sono riusciti, delle esperienze fatte, delle sofferenze vissute, delle glorie riportate, delle medaglie al valore, dei trionfi e delle sconfitte. Questo apparteneva ad un passato che è storia così come è nostra l’esperienza dell’oggi.

Le immagini di quanto e di quanti ci hanno preceduto fanno bene a tutti. Consentono ad un popolo di mantenere il filo conduttore della storia e ricordare a tutti che proprio la storia la fanno gli uomini, ognuno nell’epoca che appartiene loro, ognuno con la propria vita.

E poi, non ultimo, ricordiamo l’orgoglio, sempre vivo, per quegli uomini della Brigata Sassari sopravvissuti, per la memoria di chi non è tornato e per chi li ricorda, di aver ricevuto dal loro Generale, Armando Diaz, parole e sguardi che dimostravano tutta la sua approvazione e fierezza.

Accolse personalmente e strinse le forti mani dei suoi fanti sardi superstiti a Vicenza, quel 7 Febbraio, accompagnando l’inevitabile emozione con queste parole : “ Voi non sapete, e forse non lo saprete mai, quanto avete fatto per l’Italia “.

Aggiungendo che “ in pochi avevano fatto tanto per molti “. Frase questa che fu ripresa da Churchill nel 1940, in occasione della Battaglia d’Inghilterra: “ Così tanto fu dovuto da tanti a tanto pochi. “

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