di Lorena Piras – Criminologa
Sesso, soldi e sangue: le tre “s” della cronaca nera. Si trova questo, in un fascicolo. Recente o vecchio di cento anni, si può leggere focalizzando l’attenzione sul metodo, la ricerca, l’indagine in senso stretto. Oppure si può guardare alla disperazione, alla paura, al tradimento, all’abbandono. A tutto ciò che da sempre muove l’essere umano. A tutto ciò che da sempre gli arma le mani, sporcandole di sangue.
Caterina è una donna piccola, di età e corporatura. Nel 1920 ha poco più di venti anni. Ha cinque sorelle più piccole ed è orfana di madre. Il padre non si è mai risposato e non potendosi occupare delle figlie le manda prima dalla nonna e, alla morte di questa, dalla zia. Caterina davanti a sé ha poca scelta se non quella di andare a fare la domestica: Osilo, Cagliari, Sassari. È esile, Caterina. Sembra una bambina. È alta solo 1 metro e 50. I lunghi capelli scuri sono raccolti in una treccia assicurata alla nuca da un cordoncino. Le pagine che la riguardano ce la consegnano con gli abiti di tutti i giorni: un grembiule, una gonna con sottogonna, un bustino, una blusa e una camicia. E un fazzoletto, annodato al collo e fermato da uno spillone. E, ancora, le scarpe di panno nere. Come nere sono le calze di chiffon tenute sotto il ginocchio da due elastici. E tutto, tutto ciò che la veste, è intriso di sangue. Perché Caterina è morta.
È la sera del 5 maggio. Il Prof. Elia, abitante in Via Mercato, a Sassari, si presenta in Questura per denunciare la scomparsa della propria domestica, Caterina, uscita verso le 16 con un biglietto da cento lire, per fare delle commissioni e mai rientrata. Il professore, a dirla tutta, è preoccupato che Caterina sia scappata con il denaro, per questo fa la denuncia. Può essersi allontanata per una follia? Per raggiungere a Bitti Sebastiano, l’uomo che l’ha sedotta e poi abbandonata? Può averle fatto del male Sisinnio, negoziante di Cagliari che la voleva come amante e che era stato rifiutato? O magari c’entra la prostituta Maria, una donna di cui Caterina aveva terrore, che la minacciava e la insultava, convinta come era che le rubasse i clienti? Passa la notte e della giovane domestica nessuna notizia. L’indomani è mezzogiorno quando in città si sparge la voce del ritrovamento di un cadavere nel prato tra i Giardini Pubblici e l’ex Ospedale Militare. È avvolto in uno scialle grigio, legato con una cordicella di canapa che passa attorno al capo e ai piedi. È il corpo di una donna. Quello di Caterina. Che però non è stata uccisa lì.
La sospettata principale è Maria, 35 anni, di Thiesi, prosciolta in passato per insufficienza di prove da un’accusa di omicidio ma già condannata per furto, calunnia e diffamazione. Viene rintracciata nella sua abitazione in via Turritana, camera da letto e cucina, con due ingressi: via Turritana, appunto, e Largo Sisini. Maria odia Caterina: teme voglia rubarle Cesare, a suo dire fidanzato e promesso sposo, ma, a dire di Cesare, cliente affezionato ma stanco della gelosia della donna. La odia al punto di inviare in Questura delle lettere in cui la accusa di essere lei una prostituta e di turbare la quiete e il decoro della “pubblica via” con i suoi adescamenti sguaiati e il comportamento indecoroso. Non ci vuole molto a capire che in quella casa è successo qualcosa: rubinetto, letto e pavimento sono macchiati di sangue. Piccole tracce, sfuggite a una pulizia affrettata ma accurata. Accurata, sì. Perché Caterina, in quella casa, è stata scannata, massacrata tanto da morire dissanguata per la recisione dell’arteria vertebrale e per altre ventotto ferite da taglio distribuite tra collo, braccia, volto, nuca, deltoide e spalla. Quelle inferte quando ancora era in vita, almeno, prima che l’assassino continuasse a colpire quello che ormai era solo un cadavere. Overkilling, si dice oggi. Accanimento.
Maria viene tratta in arresto e con lei Cesare. Essendo commesso in una drogheria, e poiché la cordicella di canapa è uguale a quelle vendute presso quell’esercizio, si pensa a un suo coinvolgimento, ipotesi però presto esclusa. Ma intanto, nei giorni della prigionia, il “popolino” legge anche di lui: “ha l’aspetto di un uomo mezzo disfatto, ridotto a un cencio. Pallidissimo, a stento riesce a inghiottire un po’ di cibo. Medita, dando l’impressione di essere un automa.”
L’ispezione nei dintorni del prato porta al ritrovamento e al sequestro di alcuni teli imbrattati di sangue, uno dei quali riporta un indirizzo: quello del distretto militare di Sassari. Vengono quindi controllati tutti i militari di truppa in città sino ad arrivare a Pasquale, 23 anni, basso, baffetti castani appena accennati, cliente di Maria da qualche mese e che proprio nei giorni dell’omicidio viene visto con le mani stranamente inguantate. Tolti i guanti emergono ferite sulle mani compatibili per tempo e tipologia all’omicidio appena compiuto. Sequestrata la baionetta si nota che era stata lavata e raschiata. Sequestrati anche gli abiti vengono trovate macchie di sangue.
È a questo punto, con Maria e Pasquale in carcere, che arrivano due testimoni. Il primo è il signor Nino, che abita anch’egli in via Turritana e dice che il giorno del delitto, verso le 17.30, aveva visto Caterina insieme ad un tizio in borghese e una donna con un bambino in braccio. Dice di aver visto Caterina che esitava nell’entrare in casa di Maria e per questo veniva spinta dal tizio in borghese. Maria intanto aspettava sulla porta, guardinga. Poi era arrivato anche un soldato. Usciti la donna e il tizio in borghese, nella casa erano rimasti solo Maria e Pasquale.
È pomeriggio, nella via ci sono i rumori del quotidiano. Il calzolaio che suola le scarpe, i bambini che giocano. E poi, per uccidere Caterina, basta un niente. La morte è pressoché immediata, afferma il medico legale. Non un grido, non un lamento. Mentre nella via scorre la vita dentro casa scorre il sangue.
Il secondo teste è il signor Andrea che quella notte, uscendo verso l’una da una bettola in largo Sisini, vede un gruppo di persone che con passo affrettato si dirige verso i Giardini: un soldato che portava sulle spalle un sacco, una donna avvolta in uno scialle e un tizio in borghese. Maria avrebbe voluto disfarsi del cadavere buttandolo in una cisterna d’acqua, Pasquale depezzandolo e facendolo sparire negli scarichi fognari. Soluzioni impraticabili. Molto meglio, molto più sicuro, dovette apparire avvolgere in un telo quel misero metro e cinquanta di donna e abbandonarlo ai Giardini.
Chi erano però i complici di Maria? Chi erano il tizio in borghese e la donna col bambino in braccio? Assoldati e circuiti dalla prostituta, la donna, Sebastiana, palesa alla povera Caterina la possibilità di farle avere un appuntamento col suo amato Sebastiano, l’uomo che l’aveva sedotta e abbandonata. Le dice quindi di presentarsi a casa sua. L’ingenua e speranzosa domestica vi si reca ma trova Giovanni, anch’egli soldato, amico di Pasquale e frequentatore di Maria, che, fingendosi poliziotto in borghese, la costringe a seguirlo in Questura per un controllo, portandola invece nella casa di via Turritana.
Tra i fogli del fascicolo appaiono intanto certificati che attestano l’aggravarsi delle condizioni di salute di Maria. Soffre di cuore a causa di una pleurite che la tormenta da mesi. Uno, due, tre certificati. Sino a quello di morte, avvenuta in carcere nel giugno 1922 nella sua cella numero 3, dove le cronache la descrivevano ai lettori come “una tigre in gabbia, gialla in viso, sguardo truce e diffidente.” Il necrologio del settimanale cattolico La libertà, recita: “stamane alle ore tre spirava nelle carceri giudiziarie di questa città l’anima di Maria, cui la voce pubblica additava come autrice dell’efferato assassinio dell’infelicissima Caterina. Il nostro giornale che non aveva ricevuto nelle sue pagine per ragioni di moralità e decoro la cronaca scandalosa di quel fattaccio sente ora il dovere di annunziare la morte cristiana della disgraziata donna. Dopo lunga e penosa malattia, lavorata dalla grazia miserante del Signore, Maria spirò serenamente dopo ricevuti tutti i sacramenti della religione e confortata dall’assistenza delle buone suore. L’infinita misericordia di Dio conceda pace all’anima sua.”
Pasquale venne condannato a trenta anni, Sebastiana a quindici e Giovanni a dodici.
grazie infinite
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