di Benito Olmeo
Max Mazzoli blocca il tempo nelle immagini. Lo cristallizza in attimi che restituiscono allo sguardo di chi osserva, un frammento di realtà amplificata. L’iper-realismo di Mazzoli non sta solo nel tratto, nell’uso della tecnica e della luce, nei richiami e nelle commistioni tra esperienze artistiche diverse; la sua è una realtà che si schianta sul volto, tanto più vera quanto artificiale, tanto più in movimento quanto più fissa. L’arte di Max Mazzoli è un’esperienza emotiva dalla quale è difficile prescindere. Lo sguardo attende che la storia prosegua, che qualcosa accada, che il particolare si allarghi e ci mostri ciò che noi immaginiamo. I dettagli ci osservano nel momento in cui noi li osserviamo. Simbolo e realtà si compenetrano così fortemente da restituirci una verità più autentica del contingente… ma non sappiamo più se sia la sua o la nostra.
Come e quando nasce l’arte di Max Mazzoli?
Ho capito che avrei vissuto di pittura appena ho avuto coscienza di me, intorno ai sei sette anni. Naturalmente ha influito l’ambiente familiare: lo zio paterno che viveva di pittura, Carlo Mazzoli, mio padre, Bruno, artigiano decoratore che si dilettava anche di pittura. Gli amici di mio padre, pittori, fotografi, anarchici… Insomma, un bambino a cui piace dipingere, in un ambiente così cosa può desiderare?
Essendo nato a Livorno, pensi che in qualche modo la pittura Macchiaiola abbia influito nel tuo percorso così tecnico, ma allo stesso tempo di rottura nella tua seconda vita artistica?
Per me la pittura macchiaiola è stato un vero assillo! Ogni rione, ogni via, ogni bar aveva il suo pittore macchiaiolo di riferimento, il suo piccolo reuccio. Io che amavo Modigliani, che studiavo Caravaggio, io che ero convinto, e lo sono tuttora, che l’ultimo grande macchiaiolo fosse stato Renato Natali. Per portare i soldi a casa e per le mie piccole spese, già a quattordici anni, come si usava allora, lavoravo negli studi dei pittori dando fondeggi e preparando paesaggi, nature morte, marine ecc che poi sarebbero stati finiti dall’artista di turno, iniziai anch’io ad avere commissioni di piccole opere fatte in serie, ma tutto rigorosamente in stile macchiaiolo e firmato con nomi inventati, altisonanti. La mia seconda vita artistica è iniziata subito, in parallelo: per guadagnare macchiaioleggiavo, per divertirmi e sognare sperimentavo.
Patrizia Ferri dice di te : “Un artista schivo e riflessivo, ma anche ironico e attento a quanto lo circonda, curioso e onnivoro, che a quanto dice vorrebbe ragionare come un tubo catodico”. Sposo in pieno questa affermazione, e aggiungo, ossessionato dal cinema, dalla fotografia e da tutto quello che è immagine e fermo immagine.
D’accordo, ma da un paio d’anni, sognando in sedici noni, ho cominciato a descrivere, forse illustrare è più giusto, i miei sogni. E cerco di farlo nella maniera più libera possibile. La tecnica, quella che ho imparato, c’è, ma passa in secondo piano, quello che mi interessa di più è cercare di trascinare lo spettatore nel mio mondo onirico-cinematografico. Perché? Mah, altri lo hanno fatto prima e meglio di me. Forse il gusto di creare la scenografia del film che è la vita di ognuno di noi.
Pittura classica, Ipperrealista, Pop Art, sarebbe lunga la lista delle influenze pittoriche che poi però fai tue con quel tratto quasi maniacale e quel mettere a fuoco i particolari che ti contraddistinguono.
Da Caravaggio a Hopper, passando per i grandi iperrealisti americani, poco convinto dalle transavanguardie, dal concetto puro e minimale, ma facendo comunque tesoro di tutto, anche per fare un dispetto ai post post macchiaioli che dell’arte hanno fatto una vuota tradizione puramente folcloristica.
Due dipinti in particolare hanno attirato la mia attenzione: FLY – BAN e CIAO SUCCO DI MELOGRANA, ce ne parli?
Già, due dipinti, due storie, due film. Posso solo dire che FLY-BAN è l’inizio di un progetto ancora in corso di proiezione, ne sono innamorato e spero che non finisca mai, chissà.
La rincorri la afferri ti sfugge e un po’ come il gatto con il topo, questo è il tuo modo di vivere la vita e la pittura, che si riflette anche nel sociale. Mi sbaglio?
Mi sento una persona molto fortunata, con la vita ci ho giocato veramente troppo, chi mi conosce sa che non esagero. La mia salvezza è stata la pittura. Alla pittura sono sempre stato saldamente attaccato, mi ha fatto superare i momenti più bui e mi ha reso anche più tollerabile agli occhi degli altri, quando ero veramente inguardabile ed invivibile. Sto insegnando pittura al carcere di bancali, mi viene da sorridere, se me lo avessero detto solo 25 anni fa non ci avrei mai creduto!
Antonin Artaud diceva che nessuno ha mai scritto, dipinto, scolpito, modellato, costruito o inventato se non, di fatto, per uscire dall’inferno. Questa frase può essere il sunto del nostro racconto?
Non so se valga per tutta la vita, con tutto il rispetto per Antonin Artaud, ma di sicuro dall’inferno ne sono uscito almeno tre volte, questa è la mia terza vita… vorrei essere un gatto.
La tua pittura è prettamente basata a olio (tempi di asciugatura più lunghi, più complessa a livello tecnico, ma ovviamente restituzione dei colori più fedele e calda), mi spieghi il perché di questa scelta ben precisa?
La risposta è tra le parentesi della tua domanda, non saprei cos’altro aggiungere se non il fatto che mi sono talmente abituato a questa tecnica che quando lavoro lo faccio in maniera automatica, devo pensare solo all’idea, al concetto, il resto viene da sé.
Sassari: perché fermarsi qui, cosa ti ha colpito di questa città?
Solo una serie di casualità, se stai bene con te stesso stai bene in ogni parte del mondo, se stai male diventi un cane che si rincorre la coda per morderla.
Cosa pensi del livello culturale e pittorico isolano?
C’è un grande fermento, molto coinvolgente, ma purtroppo anche la voglia di andarsene. Quando un artista che stimo lascia questa terra per cercare fortuna altrove provo sempre un senso di perdita. La Sardegna è la perla del mediterraneo, peccato non esista un progetto vero e forte che tenda a farne una meta ambita, per artisti, galleristi, critici e collezionisti, piuttosto che un luogo da cui fuggire.
Progetti futuri: cosa ci puoi dire?
C’è un grande progetto, che coinvolgerebbe tanti artisti, se riuscissi a concretizzarlo. Per ora posso solo dire che in calendario c’è una mostra collettiva di, autodefinitisi, “artisti dentro”, sono i ragazzi che partecipano al mio laboratorio nel carcere di Bancali e posso garantire che non hanno niente da invidiare a tanti, autodefinitisi, “artisti”.
Quando ci siamo visti, mi si è parato davanti un uomo dai modi garbati e gentili e con una grande dose di umiltà, ma oltre il puro aspetto estetico ho notato nei tuoi occhi un’esplosione di colori e di vita, mi dici chi è in realtà Max Mazzoli?
Uno felice, che non rinnega il passato, e certi suoi lati di tenebra.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Un commento su “MAX MAZZOLI”