Che la Sardegna sia una terra di centenari lo sappiamo da sempre e, in questo contesto, Sassari non costituisce certo un’eccezione visto che, in tanti anni di attività, ci è capitato di incontrare molte persone che hanno superato il secolo di vita. Questa volta, però, siamo rimasti letteralmente impressionati dalla lucidità di una “nonnina” come Anna Maria Pasca, in procinto di compiere 102 anni, dotata di una memoria di ferro e particolarmente disposta al dialogo sia sulle cose per noi lontanissime, sia sui fatti della vita di oggi. Avvenimenti vissuti lungo tutto il corso di un’esistenza trascorsa interamente e intensamente nel Centro Storico della nostra Città, vale a dire nel triangolo tra Via San Sisto, Porta Sant’Antonio e l’Università. Rimasta vedova in giovane età, nel 1951 (a 34 anni) è toccato a lei il gravoso compito di allevare i figli, e lo ha fatto con grandi sacrifici ma con estrema tenacia, e in modo talmente proficuo che oggi può permettersi di vivere ancora da sola, in una casetta adeguata alle proprie esigenze, dove regnano ordine e pulizia, a poca distanza dalle abitazioni del folto stuolo dei parenti che la ricoprono di mille attenzioni, unitamente ai servizi sociali del Comune (un aiuto necessario, dovuto anche ai suoi problemi di deambulazione). A proposito del Comune, il Primo Cittadino, in occasione della festa per il suo 100° compleanno, le ha fatto dono di una miniatura del Candeliere d’Oro che Anna Maria porta sempre con sé e che mostra con orgoglio a tutti come una reliquia sacra, in ossequio a quella Feshta Manna che ha sempre seguito per un secolo intero e che resta impressa nel suo cuore. Ligia alle tradizioni cittadine, scopriremo come Anna Maria, fin dalla giovane età, abbia svolto i durissimi lavori della campagna nei terreni attorno alla città: dalla coltivazione alla raccolta dei prodotti negli orti, dalla raccolta stagionale delle olive alla coltivazione, la raccolta e lo stoccaggio del tabacco (attività ormai scomparsa dal nostro territorio); per finire con le estenuanti vendemmie alla Sella e Mosca che allora venivano effettuate rigorosamente a mano e con l’ausilio di pesanti gerle.
La finestra che dalla cucina si affaccia sulla strada regala uno scorcio di quella Sassari dei tempi andati. È una giornata gradevole, solo un leggero manto di nuvole a coprire l’azzurro del cielo in questa mattina di fine inverno. Le ante della finestra sono socchiuse e la brezza leggera, finemente umida, porta con sé il profumo del pranzo che, nelle abitazioni vicine, qualcuno ha già cominciato a impostare. Si direbbe zuppa di verdure. Sorseggiare un caffè caldo, annusare i profumi di un tempo e ascoltare la voce di Anna Maria Pasca equivale a salire su una macchina del tempo. Di quanto vogliamo tornare indietro? Dieci, trenta, cinquant’anni? Ancora di più? Fate voi. «Sono nata ad Alghero nel 1915», racconta Anna Maria, «ma a Sassari sono arrivata molto presto e ho sempre vissuto nel centro storico. Queste vie, allora, erano il cuore vivo della città. In ogni angolo c’erano negozi: panetterie, pasticcerie, c’era anche il mulino. E c’era il lavoro per tutti, sempre che si avesse voglia di lavorare, naturalmente.» La voce è lenta, le parole sono parche ma i concetti che le animano si presentano lucidissimi e immediati. Disoccupazione, in gioventù, Anna Maria non ne ha conosciuto. «La maggior parte della mia vita lavorativa l’ho trascorsa in campagna, negli orti poco fuori città. Il Ponte Rosello non esisteva ancora e alle campagne si arrivava grazie a un sistema di gradini piazzati per agevolare il passaggio. Le pietre venivano lavorate in una cava scoperta lì vicino.» E le campagne quali prodotti regalavano? «Tutto ciò che occorreva per vivere. Ricordo la raccolta delle olive, che svolgevo regolarmente, poi si andava a Sella&Mosca per la vendemmia, e ricordo ancora la coltivazione del tabacco. Eravamo tutte donne. Lo piantavamo, lo raccoglievamo, poi lo lavoravamo a mano e lo portavamo alla rivendita, che si trovava in Culleziu.» Chiediamo, tra il serio e il faceto, se ogni tanto, dopo il lavoro nei campi, non fosse consentito un po’ di divertimento. Magari un’uscita tra amiche, una scampagnata, oppure una serata a ballare. «A Ballare? Di ru freddu (dal freddo)!», è la sua risposta acuta, e gli occhi le brillano come fiere colonne di una morale e di una volontà incrollabili. «Dopo il matrimonio, l’asma bronchiale di cui soffriva ha lasciato poco tempo a mio marito. Io ho dedicato tutta la vita a crescere i miei figli ma uscivo, questo sì. Ho sempre seguito le processioni. Ricordo poi che facevano le canzoni e le poesie a Santa Caterina e in Porta Sant’Antonio. I canti sardi sono sempre stati tra le passioni sassaresi. Mi piacevano i brani di Agniru Canu. E uscivo quando c’erano i candelieri, la Festha Manna, che a Sassari è bellissima.» Già, a proposito di candelieri: ne conserva uno particolare proprio in casa, giusto? «Il sindaco è venuto a trovarmi, quando ho compiuto cento anni, e mi ha portato un candeliere per ricordo.» La spilla con l’effige del candeliere è tra i ricordi che Anna Maria conserva con maggiore cura. Negli anni Novanta aveva ricevuto anche un altro riconoscimento, quella volta per il miglior balcone fiorito del centro città. «Sicuramente era meglio la Sassari di un tempo», continua nel suo racconto in quella regione a cavallo tra passato e presente, dove anche la luce gioca un ruolo suggestivo, ora abbassandosi e ora tornando a illuminare, con il calore del sole, le pareti della casa. «Si era tutti, in generale, più educati e non si correva il rischio di essere aggrediti per strada. Educazione e rispetto erano parole d’ordine. C’era molta povertà ma ci si aiutava gli uni con gli altri, oggi si preferisce rubare.» Anna Maria ricorda con commozione alcuni momenti di vita della comunità sassarese osservati in prima persona. Anzitutto l’apertura di una casa per i bambini abbandonati, dove le mamme lavoratrici potevano anche lasciare i propri figli durante le ore di lavoro; e poi l’attività di sostegno svolta presso il mulino di Santa Maria, che nei suoi ricordi rappresentava un grande aiuto per i più poveri. «I meno abbienti andavano e gli veniva data la farina che pagavano quando potevano, cioè quando ritiravano i soldi. Ma anche altri facevano beneficenza. La famiglia Ardisson, per esempio, oltre che per la ricchezza era nota anche per l’elemosina che faceva. Lo raccontano ancora le raffigurazioni sulla tomba al cimitero monumentale di Sassari.» Gli ultimi ricordi che condividiamo della nostra chiacchierata ritornano alle sere d’estate. «Chi abitava nel centro storico e aveva un po’ di soldi, magari andava a giocare a carte per stare in compagnia. Ma, quando arrivava il caldo, chi poteva andava a Platamona, che allora era chiamata Abbacurrenti. Babbo prendeva in affitto una tumbarella (una piccola carretta) per tutto il giorno e ci portava al mare, tanto per uscire da casa.» L’ora è passata, preferiamo salutare per lasciare che Anna Maria si dedichi al suo pranzo e alle sue cure. Ringraziamo con una calorosa stretta di mano per la disponibilità dimostrata nel rivivere, insieme con noi, i principali momenti di un’esistenza lunga e in buona parte serena. Ci auguriamo di rincontrarci, magari tra altri cento anni, per un nuovo confronto tra le epoche, per nuovi ricordi e per conoscere le generazioni che verranno. Nel frattempo ci riteniamo soddisfatti se, leggendo queste righe, Anna Maria si commuoverà come ci siamo commossi noi nell’ascoltare le sue parole.
di Gianni Zara e Benito Olmeo
© RIPRODUZIONE RISERVATA foto: Donato Manca